Il Sacro Macello di Valtellina, 4 secoli dopo

Il Sacro Macello di Valtellina (1620), Strage o Rivolta?

Il Sacro Macello di Valtellina: quando, perché, e di chi fu la colpa. Fu una rivolta contro i Grigioni o una strage a sfondo religioso? Non sono uno storico, ma ho analizzato con attenzione numerose testimonianze e documenti per cercare di comprendere la genesi questo evento che 400 anni fa ha devastato la Valtellina e proverò a rispondere a queste domande.

Cominciamo dai fatti. Esattamente 400 anni fa, tra il 18 e il 23 luglio del 1620, le squadre cattoliche capitanate dal cavaliere Giacomo Robustelli, passarono a ferro e fuoco l’intera Valtellina centrale trucidando gran parte dei loro convalligiani di religione protestante, incluse donne e bambini. L’eccidio ebbe inizio a Tirano per poi estendersi il giorno successivo a Teglio, a Sondrio e Valmalenco, e quindi concludersi a Morbegno e Traona. Il bilancio finale fu di circa 400-700 morti. Solo a Sondrio, ben 23 donne di fede protestante furono brutalmente affogate nel fiume Adda. Questa fu la prima e unica guerra di religione italiana, e passerà alla storia come il Sacro Macello di Valtellina.

La Valtellina prima del Sacro Macello

Ritratto del cavaliere Giacomo Robustelli (Grosotto, circa 1583 – Domaso, 1646) con l'onorificenza dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
Ritratto di Giacomo Robustelli (Grosotto, circa 1583 – Domaso, 1646) con l’onorificenza dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro conferitagli dal duca Carlo Emanuele I di Savoia

All’inizio del 1600 la Valtellina occupava una importante posizione strategica in Europa, sia dal punto di vista militare che commerciale. Siamo agli inizi della Guerra dei Trent’Anni. Spagnoli e Austriaci, che erano legati da una forte alleanza, occupavano territori italiani distinti e disgiunti: gli spagnoli controllavano la Lombardia, gli austriaci il Tirolo. Nonostante la vicinanza tra i territori italiani occupati dai due alleati, mancava un passaggio o un corridoio che consentisse di muovere velocemente gli eserciti da un regno all’altro. Il dominio spagnolo e quello austriaco erano separati dalle terre valtellinesi, a quel tempo sotto il dominio Grigione, e dal territorio della potente Repubblica di Venezia. Gli spagnoli da tempo tentavano di aprirsi una via per connettere il Ducato di Milano all’impero austriaco così da poter rapidamente muovere truppe dall’Italia verso il nord Europa e raggiungere i territori in rivolta delle Fiandre. Se gli spagnoli fossero riusciti ad avere il controllo della Valtellina e del passo dello Stelvio aprendo l’ambito corridoio tra i due regni, gli equilibri militari e politici in Europa sarebbero cambiati in modo definitivo.

All’epoca, la Valtellina stava vivendo un momento positivo: gli scambi commerciali prosperavano, e la felice posizione della valle a cavallo tra l’Italia e la Germania, ne faceva un passaggio obbligato per il transito di merci. La valle era frequentata da numerosi mercanti ed era luogo di fiorenti commerci, con una borghesia locale illuminata e benestante.

Questa valle alpina era all’epoca (inizio del ‘600) una terra di mercanti e di fiorenti commerci, con una borghesia illuminata e benestante.

Il dominio Grigione della Valtellina, iniziato nel 1512, aveva creato condizioni di libertà religiosa uniche tra i territori di lingua italiana. Con la Dieta di Ilanz del 7 gennaio 1526, i Grigioni avevano riconosciuto a ciascun cittadino il diritto di scegliere la propria confessione tra cattolica e protestante. La libertà di culto, seppur imperfetta, aveva attirato in Valtellina numerosi protestanti in fuga da altre regioni italiane. Molti di questi rifugiati erano persone di elevata cultura e indubbiamente contribuirono a diffondere la nuova fede protestante tra le popolazioni locali. Si stima che allo scoppio dei tragici eventi del 1620, circa il 10% della popolazione valtellinese praticasse il credo protestante. Numerosi riformati italiani si erano rifugiati in Valtellina per sfuggire alla sacra inquisizione cattolica che li ricercava attivamente con l’intento di processarli e mandarli al rogo. Anche grazie a questo flusso di rifugiati, la valle attraversava un momento di notevole fioritura culturale, economica e sociale. Un po’ ovunque si tenevano dotte discussioni filosofiche e religiose con la partecipazione di entrambe le parti, mentre nella stamperia Landolfi a Poschiavo vedevano la luce volumi che diffondevano le nuove idee, introdotte dalla riforma, ben oltre i confini della valle.

Mappa della Repubblica delle Tre leghe, fino al 1797. Creata da Marco Zanoli.
La posizione strategica della Valtellina tra la Repubblica delle 3 Leghe (Grigioni), il Ducato di Milano (Spagna), la Repubblica di Venezia e i domini asburgici. Una pedina importantissima nello scacchiere politico europeo dei primi anni del 1600.

Gradualmente, all’inizio del ‘600 ,la coesistenza delle due religioni cominciò a farsi più difficile con episodi di ostilità da entrambe le parti. Già nel 1568 Francesco Cellario, pastore protestante di Morbegno, era stato rapito dagli spagnoli su incarico diretto di papa Pio V. Il rapimento era avvenuto in territorio valtellinese, in violazione dei confini tra Grigioni e Ducato di Milano. Il Cellario era stato condotto a Roma dove, nonostante le proteste delle Tre Leghe, venne arso a “fuoco lento”. Il rapimento di Francesco Cellario non fu l’unico ne l’ultimo episodio di intolleranza a mettere in crisi la pacifica convivenza delle due fazioni religiose.

Il Sacro Macello di Valtellina, i fatti

Gómez Suárez de Figueroa y Córdoba, conosciuto come il Gran Duca di Feria, governatore spagnolo di Milano.
Gómez Suárez de Figueroa y Córdoba (Guadalajara, 30 dicembre 1587 – Monaco di Baviera, 12 gennaio 1634), conosciuto come il Gran Duca di Feria, governatore spagnolo del Ducato di Milano.

Dopo anni di crescente conflittualità tra le due fedi, la rivalità tra le due fazioni sfociò infine in una violenta aggressione, solo più tardi denominata Sacro Macello di Valtellina. Si trattò della prima e unica guerra di religione in territorio italiano. Il gruppo organizzatore del sanguinoso evento, era capitanato dal cavaliere cattolico Giacomo Robustelli originario di Grosotto e imparentato con la potente famiglia cattolica grigionese dei Planta di Coira. Il Robustelli, con l’aiuto di Vincenzo Venosta, Marco Antonio e Simone Venosta, Vincenzo Venosta, Giovanni Guicciardi, Azzo e Carlo Besta, speravano di dare avvio a una rivolta contro il governo Grigione. Secondo i piani segreti del gruppo, la rivolta avrebbe rapidamente attirato in aiuto le forze del governatore spagnolo di Milano, Gomez Suarez de Figueroa y Cordova conosciuto come il duca di Feria, e degli austriaci che sarebbero arrivati dal Tirolo attraverso il passo dello Stelvio. Sempre secondo le aspettive dei rivoltosi, anche gli svizzeri dei cantoni cattolici sarebbero presto scesi in Valtellina in soccorso alla rivolta entrando in valle dal passo dello Spluga.
Allo scoppio di quella che era stata organizzata come una rivolta, nessuno degli auspicati interventi alleati si concretizzò. La rivolta contro i Grigioni si trasformò molto rapidamente in una violenta sommossa volta all’eliminazione per sterminio o allontanamento dalla Valtellina della popolazione di religione protestante. Al termine delle sanguinosissime giornate in cui i rivoltosi eliminarono tutti i loro convalligiani di fede protestanti, mancando una qualunque forma di resistenza da parte dei dominatori grigionesi, i rivoltosi presero il controllo della valle e fondarono la Libera Repubblica di Valtellina. Si trattava di uno stato fantoccio sotto lo stretto controllo spagnolo e che ebbe brevissima vita.

Nel corso di queste sanguinose giornate di folle e furibondo odio religioso, furono trucidati tra i 450 e i 700 protestanti mentre almeno altrettanti riuscirono fortuitamente a fuggire verso la Svizzera e la Germania.

Le principali comunità riformate si trovavano a Tirano, Teglio, Sondrio, Traona e Chiavenna. Nel corso di queste sanguinosissime giornate di folle odio religioso, furono trucidati tra i 450 e i 700 valtellinesi, tutti di fede protestante. Almeno altrettanti riuscirono fortuitamente a fuggire verso la Svizzera, l’Olanda, il Palatinato. Solo la valle di Chiavenna e la contea di Bormio furono risparmiate dalla furia omicida.

Vincenzo Paravicino, testimone oculare miracolosamente sopravvissuto agli eventi, ci ha lascito una testimonianza diretta nel suo libro Vera Narratione del Massacro degli Evangelici. Le sue parole ci aiutano a percepire la violenza e ferocia di questi eventi:

Alcuni si nascosero nelle grotte, caverne e deserti, dai quali solo di notte tutti impauriti e mezzo morti uscivano; alcuni per il mancamento di vettovaglia, altri perché solo mangiavano radici, fogli e gramigna spiravano affatto. E molti furono gli uccisi in diversi luoghi, i quali non hanno avuto sepoltura, sicché molti sono i cadaveri per selve, boschi, monti e fiumi.

Vincenzo Paravicino

Anche Chiuro, il mio paese nativo, venne coinvolto in questi eventi. Fra i protestanti uccisi a Chiuro vi furono Federigo Valentin di Zernez, Giovanni Meneghini di Poschiavo e Cristoforo Fauschio di Jenins, residenti in contrada Gera e trucidati nella piana di Chiuro dalle milizie cattoliche di Ponte in Valtellina al comando di Prospero Quadrio e Giulio Pozzaglio.

Il Sacro Macello di Valtellina: fu strage o rivolta?

Per anni, il Sacro Macello è stato rimosso dalla memoria dei valtellinesi. Ogni traccia è stata occultata e le poche menzioni sono state tutte filtrate attraverso la narrativa prima rinascimentale e fascista, poi cattolica. Certamente l’intento di tale oblio era quello di calmare gli animi e ristabilire la pace religiosa. In realtà il risultato è stato quello di cancellare dalla memoria collettiva il ricordo di un evento che aveva devastato le comunità locali, spezzato famiglie e completamente eliminato un intero gruppo religioso dalla valle. Come ci ricorda lo storico cattolico Saverio Xeres, oltre a sopprimere il ricordo dei tragici evento del 1620, i valtellinesi hanno anche cancellato dalla memoria un periodo di prosperità economica e di vivacità culturale alimentata dai tanti rifugiati religiosi provenienti dal resto della penisola italiana.

La narrazione proposta da istituzioni e storici valtellinesi ancora oggi tende a minimizzare la portata dell’evento, riducendo ad esempio il numero delle vittime a “soli” 400 protestanti. Gli studi storici approfonditi effettuati da storici indipendenti e dalle comunità evangeliche italiane e grigionesi parlano di un numero di vittime significativamente più alto, indicando un numero tra 450 e 700. Molti cattolici si ostinano ancora oggi a descrivere questi tragici eventi come una “rivolta contro il dominatore svizzero“, ignorando che le vittime furono esclusivamente valtellinesi e non grigionesi. Pur non negando l’influenza del potere politico e militare spagnolo nell’organizzazione di questi tragici eventi, dalla narrazione degli eventi fatta da Cesare Cantù e dalla testimonianza diretta lasciataci da Vincenzo Paravicino, appare evidente che gli obiettivi e le motivazioni delle soldataglie cattoliche e dei popolani che li aiutarono, furono esclusivamente di carattere religioso.

Pur non negando l’influenza del potere politico spagnolo nell’organizzazione di questi tragici eventi, dalla narrazione di Cesare Cantù e dalla testimonianza diretta di Vincenzo Paravicini, appare evidente che le motivazioni delle soldataglie cattoliche e dei popolani che li affiancarono, furono motivazioni religiose.

Che io sappia, non esiste in Valtellina una sola lapide, un monumento o un museo a ricordare un evento tanto importante e drammatico nella storia della valle. Il Museo Valtellinese di Storia e Arte (MVSA), in occasione dei 400 anni dai tragici eventi del 1620, ha realizzato una mostra temporanea presso la sua sede a Palazzo Sassi de’ Lavizzari a Sondrio. L’iniziativa si riferisce al Sacro Macello chiamandolo in termini quantomeno riduttivi Insurrezione Valtellinese. La narrativa partigiana dell’insurrezione e della rivolta adottata dalle istituzioni locali ancora oggi ricalca fedelmente la retorica prima risorgimentale e poi fascista che interpretavano questo evento come una anticipazione delle rivolte risorgimentali di indipendenza degli italiani verso i dominatori stranieri.

Esempio di spudorato revisionismo storico da parte della storica valtellinese Saveria Masa che, a ben 400 anni dai fatti, perpetua una narrazione chiaramente di parte sminuendo le responsabilità della comunità cattolica nell’organizzazione ed esecuzione della terribile strage del 1620.

Altri esempi della difficoltà che i miei convalligiani incontrano nel guardare alla storia locale in modo imparziale e oggettivo ci viene offerto dal vergognoso negazionismo e giustificazionismo storico proposto dalla ricercatrice storica valtellinese Saveria Masa. In un evento online del maggio 2020, organizzato dalla Biblioteca Civica Pio Rajna di Sondrio e sponsorizzato dalla giunta comunale politicamente e religiosamente schierata, la Masa definisce il Sacro Macello D’altra natura che non religiosa. Una analisi storica che non fa certamente onore a questa studiosa locale, ne alla sua reputazione. Che dietro questo episodio di follia e rabbia collettiva, che fu il Macello di Valtellina, vi furono forti interessi strategici militari ed economici è innegabile, come è altrettanto palese che il clero e le soldataglie locali si siano mossi quasi esclusivamente spinti da motivazioni religiose. In modo simile Luciano Angelini, pure lui politicamente schierato, in un articolo apparso sulla rivista valtellinese Tellus, descrive il Sacro Macello come non un’insurrezione popolare religiosa ribaltando i fatti storici e sostenendo senza alcuna prova che la popolazione valtellinese, infatti, non fu coinvolta se non molto parzialmente. Secondo questo fazioso autore dovremmo dunque dismettere i 700 convalligiani ferocemente trucidati come danno collaterale di giochi politici internazionali negando sia l’impatto locale che le motivazioni religiose di questi tragici eventi. Queste recenti rivisitazioni partigiane dimostrano tristemente che per molti dei miei convalligiani quattro secoli sono trascorsi invano. Come vana fu la morte violenta di 700 nostri convalligiani, la cui unica colpa fu quella di aver scelto una religione diversa da quella cattolica.

Nicolò Rusca (Bedano, 20 aprile 1563 – Thusis, 4 settembre 1618), arciprete di Sondrio in un dipinto del 1852 di Antonio Caimi conservato nella Collegiata dei Santi Gervasio e Protasio a Sondrio.
Nicolò Rusca (Bedano, 20 aprile 1563 – Thusis, 4 settembre 1618), arciprete di Sondrio in un dipinto del 1852 di Antonio Caimi conservato nella Collegiata dei Santi Gervasio e Protasio a Sondrio.

Un altro esempio contemporaneo di pressione del mondo cattolico per una rivisitazione faziosa della narrazione storica di questi avvenimenti si è verificato nel 2013. In quell’anno, Papa Benedetto XVI ha beatificato Nicolò Rusca, personaggio indissolubilmente legato al Sacro Macello. Il Rusca ricoprì la carica di arciprete di Sondrio dal 1591 al 1618 e morì sotto interrogatorio da parte di un tribunale grigionese a Thusis mentre veniva torturato, come purtroppo si usava al tempo. Era accusato di aver spalleggiato l’influenza e la corruzione spagnola in Valtellina e in particolare di aver organizzato il fallito rapimento di Scipione Calandrini, noto pastore protestante calvinista. Se il rapimento del Calandrini avesse avuto successo come alcuni decenni prima quello del Cellario, il pastore riformato sarebbe stato consegnato alla sacra inquisizione romana. La chiesa cattolica lo avrebbe certamente condannato come eretico e mandato al rogo. Non è facile determinare se questa accusa fatta al Rusca fosse veritiera o motivata politicamente. Ciò che sappiamo è che negli ultimi anni della sua presenza a Sondrio, il Rusca aizzava in continuazione i Valtellinesi dal pulpito della collegiata di Sondrio contribuendo a fomentare l’intolleranza verso i convalligiani di fede protestante, che con disprezzo chiamava eretici.

Con la beatificazione di Nicolò Rusca, la chiesa cattolica ha scelto di proporre questo ingombrante personaggio come modello di fede, mandando un messaggio di forte intolleranza religiosa alla locale comunità evangelica.

Benché il Rusca morì circa due anni prima del Sacro Macello, è difficile negare la sua importante influenza nell’inasprimento del clima di ostilità e odio tra le due comunità religiose. Con l’inopportuna beatificazione di Nicolò Rusca del 19 dicembre 2011, la chiesa cattolica ha scelto di indicare questo ingombrante e ambiguo personaggio come modello di fede cattolica. La beatificazione non è stata gradita dalle comunità protestanti italiana e svizzera ed è stata percepita come un segnale di abbandono ad ogni serio tentativo di riappacificazione. Dunque, quattro secoli dopo le violenze del 1620, gran parte del mondo cattolico è incapace e non interessato a rivisitare i sanguinosi eventi del Sacro Macello, perseverando in un’attitudine conflittuale e intollerante verso le comunità evangeliche. Con la beatificazione del Rusca si è scelto di premiare un simbolo dell’intolleranza e indirettamente giustificare la strage valtellinese come un episodio di legittima difesa della fede cattolica.

La soppressione della memoria: il Sacro Macello

Il quarto centenario del Sacro Macello di Valtellina avrebbe potuto essere un’occasione per guardare indietro alla nostra storia comune con uno sguardo nuovo e piu’ distaccato. Dovrebbe essere un’occasione di riconciliazione tra le parti e di riflessione sugli eventi passati, e sugli eccessi del fanatismo religioso. I quattrocento anni che ci separano da questo triste avvenimento, dovrebbero darci la serenità per guardare a quegli avvenimenti con oggettività, ricordando le vittime valtellinesi in modo simile a come guardiamo alle vittime di ben più recenti eccidi a sfondo religioso. Qualunque fosse il livello di attrito e la condivisione delle responsabilità tra le due comunità religiose nei mesi e anni che hanno preceduto il Sacro Macello, non possiamo negare che una parte, quella cattolica, ha assunto inequivocabilmente il ruolo di carnefice, mentre l’altra parte è stata la vittima, pagando un prezzo altissimo.

Questa ricorrenza dovrebbe essere anche un’occasione in cui porgere cristiane e dovute scuse alla comunità riformata che ancora vive nei vicini grigioni, appena oltre il confine. Invece, da parte cattolica, con la complicità di molti politici locali, si è preferito continuare a ignorare o minimizzare questo importante avvenimento. In un momento storico in cui l’intolleranza religiosa continua a fomentare guerre e stragi in tutto il mondo, avremmo tratto grande beneficio da un un gesto di umiltà e di accettazione delle proprie responsabilità storiche. Ma evidentemente, 400 anni non sono bastati a cambiare la cultura di questa valle.

Emanuele Fiume, storico e pastore valdese, dialoga con Francesca Tasca riguardo al “Sacro Macello di Valtellina” del 1620, l’eccidio della popolazione riformata valtellinese nel quadro della Guerra dei trent’anni.

Valtellina come Salem?

Qualora il numero delle vittime non bastasse a comprendere l’enormità del Sacro Macello e l’importanza di una memoria oggettiva, possiamo azzardare un confronto con quanto accadde a Salem 70 anni dopo. Nel 1692 a Salem, nel Massachusetts, all’altro capo del mondo, accadde un evento a carattere religioso con alcune similarità. Salem è infatti nota nel mondo per il processo alle streghe che si concluse con la condanna al rogo e l’esecuzione di 19 persone e l’incarcerazione di altre 200 (principalmente donne). Tutti ingiustamente accusati di stregoneria. Come per la Valtellina, si trattò di un momento di follia collettiva fomentata da un credo religioso intollerante. Una follia capace di placarsi solo con lo spargimento del sangue di vittime innocenti.

A distanza di 400 anni, a fronte di un eccidio che non mieté 19 vittime come a Salem, bensì 700, i valtellinesi non hanno mostrato il coraggio e l’onestà per erigere un piccolo monumento o inaugurare una lapide a ricordo dei tanti convalligiani di fede protestante vittime innocenti della furia cattolica del Sacro Macello.

Oggi Salem, è conosciuta in tutto il mondo per la vicenda della strage di innocenti. La città ospita un ampio museo che ricostruisce e ricorda l’evento con oggettività e grande dovizia di dettagli. Chi si trovasse a visitare Salem, cosa che ho fatto lo scorso anno, dopo la visita del museo può visitare, non lontano, le tombe di molti dei protagonisti di questa triste vicenda. Dunque, una città che ha avuto il coraggio di fare i conti con il proprio violento passato e ha deciso di ricordarlo come un monito a tutti coloro che usano la religione per fini politici e di conquista del potere.

Nella mia amata valle alpina, a distanza di 400 anni e a fronte di un eccidio che mieté ben più delle 19 vittime di Salem, i valtellinesi non hanno ancora avuto il coraggio e l’onestà per erigere un piccolo monumento o inaugurare una lapide a ricordo dei tanti convalligiani innocenti di fede protestante vittime della furia cattolica del Sacro Macello.

Impatto del Sacro Macello sulla storia della Valtellina

Contrariamente a quanto scritto da alcuni storici cattolici a giustificazione del Sacro Macello, la Valtellina della fine del ‘500 e inizi del ‘600 attraversava un periodo di grande benessere economico. Molti dei commercianti e imprenditori Valtellinesi più abili e benestanti avevano abbracciato il protestantesimo. Alcuni storici cattolici ci raccontano che questo cambio di fede avveniva primariamente per compiacere i dominatori Grigioni. La vivacità del dibattito culturale della seconda metà del 500 in Valtellina racconta una storia ben diversa, suggerendo che le conversioni al protestantesimo fossero spinte da motivazioni ben più sincere, come ad esempio la dilagante corruzione del clero e delle istituzioni cattoliche. I membri della borghesia illuminata e riformata che sopravvissero al Sacro Macello si rifugiarono in Svizzera, Olanda, Germania e Inghilterra. Il Sacro Macello dunque non solo azzerò la popolazione protestante locale, ma decapitò la classe borghese che alimentava e sosteneva l’economia locale. Oltre ai tragici effetti sulle persone e sulla struttura sociale della valle, il Sacro Macello di Valtellina innestò una lunga serie di guerre e occupazioni, note come Guerra di Valtellina, e in cui la valle, nel contesto della Guerra dei Trent’anni, vide susseguirsi in pochi anni le dominazioni spagnola, austriaca, francese e nuovamente grigione.

Nel volgere di pochi anni la popolazione della valle venne decimata dal susseguirsi di invasioni straniere e dalla peste. In pochi anni la valle passò da oltre 150,000 abitanti a soli 40,000. La Valtellina non si riprenderà più completamente da questo nero periodo.

Le occupazioni culminarono con il lungo e straziante stanziamento di oltre 20,000 Lanzichenecchi (Landsknecht) negli anni tra il 1628 e il 1629. Queste orde germaniche se ne andarono dalla valle solo dopo aver esaurito tutte le ricchezze e risorse locali. I lanzichenecchi lasciarono alla popolazione locale, a perenne ricordo del loro passaggio, la peste. A seguito del Sacro Macello e nel volgere di pochi anni, la popolazione della valle decimata dal susseguirsi di invasioni straniere e dalla peste, passò da oltre 150,000 abitanti a soli 40,000. La Valtellina non si riprenderà più completamente da questo nero periodo. Bisognerà aspettare altri 350 anni, fino al il 1950, perché la popolazione valtellinese ritorni ai livelli precedenti il Sacro Macello. Il cambio degli equilibri politici europei, ma anche lo spostamento del baricentro economico e commerciale del mondo occidentale verso l’Atlantico non consentirono il ricrearsi di quelle condizioni favorevoli che avevano creato benessere e prosperità.

I cinque lanzichenecchi, acquaforte di Daniel Hopfer, ca. 1530.
I cinque lanzichenecchi (Landsknecht), acquaforte di Daniel Hopfer, ca. 1530.

La testimonianza in prima persona di Vincenzo Paravicino

Una importantissima testimonianza diretta dell’eccidio ci è fornita da Vincenzo Paravicino che fu testimone in prima persona dei fatti e che ci ha lasciato un resoconto dettagliato di quanto avvenne in Valtellina nel luglio del 1620. Il libro venne scritto nel 1621 a Zurigo dove il Paravicino, scampato all’eccidio, si era rifugiato. Il volume si intitola “Vera Narratione del Massacro degli Evangelici fatto da papisti e ribelli nella maggior parte della Valtellina nell’anno 1620“. Ho personalmente curato la pubblicazione in una versione Kindle e Google Play di questo testo di pubblico dominio, utilizzando la trascrizione gentilmente messami a disposizione dal Cen­tro Evan­ge­li­co di Cul­tu­ra di Son­drio.

La ricostruzione dei fatti dello storico cattolico Cesare Cantù

Molte delle informazioni di cui disponiamo riguardo al Sacro Macello di Valtellina, come anche lo stesso nome di Sacro Macello, ci arrivano da Cesare Cantù (1804 – 1895) uno storico lombardo di metà ‘800 che nonostante fosse cattolico ha saputo descrivere con imparzialità e accuratezza gli eventi valtellinesi del 1620.

Ho recentemente curato una edizione dell’opera di Cesare Cantù pubblicandola sia in versione Kindle che in una versione acquistabile in Google Play Books, lo store di Android.

Giornata di Studio dedicata al Sacro Macello

Si è svolta a Tirano il 12 settembre 2020, presso l’Auditorium Trombini, una Giornata di Studio dedicata al Sacro Macello di Valtellina e organizzata dalla Società Storica Valtellinese e dalla Società Storica Val Poschiavo in collaborazione con il Comune di Tirano e il Museo Etnografico Tiranese (MET). Il titolo dell’evento, scelto a mio parere in modo un po’ fazioso, è: 1620 La rivolta di Valtellina. Includo qui la locandina dell’evento e i link alle due parti della registrazione.

Locandina della giornata di studio “1620 La rivolta di Valtellina” tenutasi a Tirano il 12 settembre 20202 presso l’Auditorium Trombini e dedicata al Sacro Macello di Valtellina.

Purtroppo la qualità audio non sempre consente di seguire agevolmente le relazioni dei relatori.

Giornata di Studio “1620 La rivolta di Valtellina
PARTE 1

Relatori e relazioni:

  1. Augusta Corbellini: Apertura dei lavori.
  2. Alessandro Pastore: Valtellina, luiglio 1620: pratiche di violenza e costruzione della memoria.
  3. Saverio Xeres: Religionis causa? la strage dei riformati in Valtellina e il dibattito teologico in ambito cattolico.
  4. Ilario Silvestri: L’inevitabile alleanza tra Bormio e la Valtellina.
  5. Diego Zoia: Maddalena Cattanea, una vicenda di Tirano.
  6. Guido Scaramellini: I riflessi dell’insurrezione valtellinese del 1620 sulla Valtellina.
  7. Arno Lanfranchi: La Valposchiavo stretta tra Riforma e Controriforma.
Emanuele Fiume, storico e pastore valdese, dialoga con Francesca Tasca riguardo al “Sacro Macello di Valtellina” del 1620, l’eccidio della popolazione riformata valtellinese nel quadro della Guerra dei trent’anni.

Giornata di Studio “1620 La rivolta di Valtellina
PARTE 2

Relatori e relazioni:

  1. Florian Hitz: Rivendicazione dell’integrità e della sovranità dello stato dei Grigioni.
  2. Randolph Head: Attori, politica e religione: i risvolti della Rivolta.
  3. Guglielmo Scaramellini: Conclusione.
Emanuele Fiume, storico e pastore valdese, dialoga con Francesca Tasca riguardo al “Sacro Macello di Valtellina” del 1620, l’eccidio della popolazione riformata valtellinese nel quadro della Guerra dei trent’anni.

12 comments

  1. Bell’articolo. Leggerò le fonti citate.
    Mi dispiace solo un certo anticattolicesimo squalificante che affiora qua e là. Tra cattolici e protestanti direi che in fatto di odio, ostilità e violenza ognuno ha la sua trave nell’occhio, e che continuare ad accusare non serva a nulla se non in chiave identitaria.
    Singolare il fatto di liquidare la fine di Rusca tra le torture con “come si usava a quel tempo”.

  2. Per amor del vero. Perché scrivi di Luciano Angelini “politicamente schierato”, “fazioso”. Scrive lo storico Mazzali : “L’eccidio dei protestanti fu solo lo strumento a un tempo barbaro, criminale e ipocrita di un’operazione politica per cacciare i Grigioni dalla Valtellina e dalla Valchivenna.” (Cfr. Ettore Mazzali, Giulio Spini, Storia della Valtellina e della Valchiavenna, vol. 2, Bissoni, So 1968)
    “Non fu un’insurrezione popolare religiosa, la popolazione valtellinese, infatti, non fu coinvolta se non molto parzialmente; fu, invece, una brutale congiura filo spagnola … insieme ad alcuni nobili cattolici valtellinesi … e con la complicità … della gerarchia eclesistica cattolica, tutti interessati a liberare la Valtellina dai Grigioni e dalla Riforma.”
    (scrive Luciano Angelini nel citato articolo)

  3. Per quel che scrive nei miei confronti, sembra proprio che lei non abbia letto il mio articolo (Luciano Angelini). L’articolo così s’apre:
    “Alle Autorità della provincia di Sondrio,
    dopo tanto tempo, nel 400° anniversario del Sacro Macello, sembrerebbe giusto e doveroso ricordare quegli innocenti così brutalmente trucidati almeno con una targa o un monumento, anche come monito contro ogni forma di intolleranza.”
    Luciano Angelini

  4. Il Sacro Macello non fu un’insurrezione popolare religiosa,1 come alcuni cronisti cattolici sosterranno;2 la popolazione valtellinese, infatti, non fu coinvolta se non molto parzialmente; fu, invece, una brutale congiura filo spagnola organizzata dal governatore di Milano don Gomez Suarez de Figueroa e Cordova, duca di Feria, insieme ad alcuni nobili cattolici valtellinesi,3 per lo più proscritti o condannati dal tribunale di Thusis,4 e con la complicità, nemmeno troppo velata, della gerarchia ecclesiastica cattolica;5 tutti interessati a liberare la Valtellina dai Grigioni e dalla Riforma.
    (dall’articolo citato su Tellus)

  5. Se rileggi il mio articolo, dico in sostanza le stesse cose che lei dice nel suo, stesse le fonti, stessa l’analisi, ed è stessa la richiesta alle autorità di una memoria.

  6. @Luciano Angelini: Sostenere che la popolazione valtellinese fu solo parzialmente coinvolta nel Sacro Macello di Valtellina mi pare una posizione difficilmente argomentabile. Certamente non fu una rivolta contro gli svizzeri come vorrebbero farci credere. Infatti, chi ne restò completamente fuori furono proprio gli svizzeri, per i quali non c’è giunta notizia né di morti o feriti. Inoltre, dal punto di vista puramente logistico, trucidare 500 persone innocenti richiede ben più di un gruppetto di fuoriusciti di galera arruolati da quattro nobili semi-decaduti. Un evento tragico di questa dimensione richiede indubbiamente il contributo pratico e il supporto morale di una fetta importante della popolazione. Un supporto la cui origine mi pare di poter ricondurre alle martellanti campagne anti-protestanti del Rusca e compagni.

    Forse e’ giunto il momento per i cattolici valtellinesi di riconoscere gli errori e le colpe di 400 anni fa, e finalmente porgere le dovute scuse alla comunità protestante (per chiarezza, io non ne faccio parte) rinunciando a facili scuse e alle comode ma false narrative fascite, bigotte e risorgimentali.
    Indubbiamente potrei essere e forse sono fazioso. Ma da valtellinese e amante di questa valle mi duole profondamente osservare che non si sia fatto assolutamente nulla per ricucire una ferita così antica e profonda. Come valtellinese sento non solo il diritto ma anche il dovere di denunciare le visioni distorte proposte da storici locali che continuano a sostenere l’estraneità della popolazione cattolica valtellinese a questi sanguinosi eventi perpetuando (mi ripeto) una falsa narrativa fascista, bigotta e risorgimentale (fascista perché promossa e perpetuata dal regime fascista).

    Che poi in una valle ancora fortemente cattolica, in un ambiente bigotto e di limitate vedute, e ancora dominato da forze politiche conservatrici, si trovi più di uno storico pronto ad avvalorare questa visioni distorte dei fatti, non mi sorprende affatto.

  7. @Benson: Certamente torto e ragione, come diceva il Manzoni, non si possono separare senza che un po’ dell’uno rimanga attaccato all’altro. ma quando di parla di evento con un bilancio di morti 500 a 0, forse dobbiamo usare la nostra imparzialità ed equilibrio a protezione delle vittime e non degli aggressori.

  8. Se pensa che sto difendendo gli aggressori si sbaglia totalmente.
    Ricambio la scorrettezza chiedendole : se il massacro l’avessero perpetrato gli evangelici a danno dei cattolici, oggi se ne parlerebbe? Lei ne avrebbe scritto?

  9. @benson
    La lunga risposta era diretta al sig. Angelini, la risposta breve a lei. Ora le modifico esplicitando il destinatario.
    Non stavo accusando nessuno, mi scuso se ho dato questa impressione. Volevo solo sottolineare che non si possono trattare in modo uguale vittime e assassini, anche quando lo si fa nel nome dell’imparzialità e con le migliori intenzioni.

Leave a Reply

Fill in your details below or click an icon to log in:

WordPress.com Logo

You are commenting using your WordPress.com account. Log Out /  Change )

Facebook photo

You are commenting using your Facebook account. Log Out /  Change )

Connecting to %s