Articolo pubblicato nel gennaio 2014 sul blog di Punto.Ponte (Also available in an English version).
Ricordo ancora il primo incontro con l’arte di Mona Caron: stavo recandomi al lavoro camminando verso il centro di San Francisco lungo un percorso diverso dal mio solito. Improvvisamente, sul muro davanti a me appare un’erbaccia gigantesca, splendidamente dipinta e rappresentata con realismo e dettaglio da guida botanica botanica (il che non è poco dato il mio amore per la botanica). L’erbaccia pareva arrampicarsi sul muro ad avvolgerlo sconvolgendo la mia prospettiva e le mie poche certezze botaniche. Mi fermai ad osservare il murale con attenzione, stupito per la piacevole sorpresa. Era la prima volta che vedevo qualcosa di simile, un murale così differente da qualsiasi cosa avessi osservato sino ad allora sui muri della città. Quello stesso giorno una rapida ricerca su Internet mi restituì il nome della geniale artista. Si trattava di Mona Caron, un’artista visuale e muralista ticinese attiva in San Francisco. Con le informazioni del suo sitoweb mi feci una mappa di tutti i suoi murali e uno alla volta li visitai, provando per ciascuno simili emozioni ed entusiasmo. Solo un paio di anni più tardi, in occasione dell’inaugurazione di un suo nuovo gigantesco murale nel quartiere di Noe Valley, ho avuto modo di conoscere personalmente Mona. Grazie alla sua disponibilità ho potuto finalmente realizzare questa intervista e corredarla con alcune immagini dei suoi straordinari murali. Buona visione e buona lettura!
L’intervista
Franco: Mona, ci racconti un po’ di te e delle tue attività artistiche?
Mona: Mi chiamo Mona Caron. Sono un artista visuale, primariamente una muralista e illustratrice. Le mie opere più grandi appaiono sui muri dei palazzi, principalmente nelle strade di San Francisco, mentre quelle piccoli tendono ad essere minute e sono usate come illustrazioni per libri, riviste, posters, o altri usi. A volte faccio anche delle performance pittoriche.
Sono svizzera, originaria della Svizzera Italiana. Lì ho frequentato le scuole superiori (liceo) dove ci siamo focalizzati sulla letteratura francese, inglese e tedesca. In seguito mi sono iscritta all’Università di Zurigo dove per tre anni ho studiato letteratura inglese per poi abbandonare la scuola. Mi sono trasferita a San Francisco iscrivendomi alla Academy of Art University per laurearmi con specializzazione in illustrazione. Ora sono primariamente una muralista, ma non ho mai seguito dei corsi per questa specialità, sono un’autodidatta.

Franco: Tu arrivi a San Francisco da Intragna, un piccolo paese nel Canton Ticino, in Svizzera. Che limitazioni ci sono per un artista che vive in un piccolo paese, anche se si tratta di uno splendido paesino svizzero?
Mona: La mia zona d’orgine è un luogo da cui ancora oggi traggo ispirazione. La mia connessione con la natura, e il modo con cui la osservo e rappresento, trae ispirazione dal mio luogo d’origine. Non c’erano molte opportunità per me, come artista, di vivere in quelle zone. E nel momento in cui me ne andai non avevo ancora considerato di diventare un’artista. Anche se la vicina città di Locarno, come l’intero Ticino, sono in realtà molto ricchi in attività e iniziative culturali e vi sono numerosi artisti che risiedono lì, per il mio cammino personale è stato necessario allontanarmi sia per diventare un’artista che per esplorare me stessa.
Ho iniziato a realizzare murali grazie ad un incontro fortuito. Fui invitata a realizzare il mio primo murale a San Francisco quando un membro della “Coalizione dei Ciclisti di San Francisco” mi avvicinò subito dopo la mia laurea all’Academy of Art University. Dapprima rifiutai, semplicemente perche non sapevo proprio come realizzare un murale, cioè non sapevo come creare un qualcosa centinaia di volte la dimensione del mio corpo rimanendo al tempo stesso in controllo del suo aspetto. Fui incoraggiata a capirlo semplicemente da me. E così feci. Sento come se la città mi avesse spinta verso questa attitudine di possibilità dandomi l’opportunità di espandere il campo di cose che faccio. Trovo che questa sia un’altra differenza tra il mio logo d’origine e la città di San Francisco.

Franco: Tu hai investito un’incredibile quantità di tempo nel creare i più bei murali della città. Ma i murali sono tra le forme d’arte più fragili in quanto sono esposti alle intemperie, al vandalismo, ecc. Come ti poni rispetto a questa intrinseca fragilità delle tue opere d’arte?
Mona: Cerco di usare alcune precauzioni, come ad esempio impiegare pigmenti permanenti, usare una vernice coprente protettiva. Ma, a meno che non si crei un vero affresco su un un intonaco fresco e lo si tenga in un ambiente protetto, cosa che non è possibile nelle vie di una città moderna, i murali non sono per sempre. È tutto lì. Per questa ragione il mio lavoro a volte mi sembra la costruzione di un gigantesco mandala di sabbia realizzato dai monaci buddisti, fatto per essere distrutto dal vento in ogni momento. Ma una delle cose che ritengo più importanti quando realizzo un murale pubblico, non è tanto il prodotto finale quanto il processo del crearlo.
Lavoro molto, molto lentamente. Molto più lentamente di quanto, non solo le persone, ma l’intera società si aspetti. Viviamo in una società dove tutto è veloce. E dove tutto diventa sempre più veloce e dove tutti noi vediamo diminuire la nostra capacità di prestare attenzione. L’aspettativa è che tutto venga prodotto in fretta per poi passare a qualcos’altro. Contrariamente a questa tendenza, i miei murali sono come una performance artistica al rallentatore, e la mia arte intende proprio proporsi in opposizione a questa tendenza all’accelerazione. Quando inizio a lavorare a un murale l’aspettativa è che io ci lavorerò per alcuni giorni ma in realtà la mia attività prosegue per alcuni mesi. è vero che investo una quantità sorprendente di energia vitale in una realizzazione artistica che, come tu suggerisci, è generalmente ritenuta avere una natura effimera. Ma è proprio quando la gente in strada si rende conto dell’impegno che metto nell’opera, che avviene un cambiamento nel loro modo di vedere il mio lavoro. Cominciano a rallentare, a guardare con attenzione e ad apprezzare lo spazio in cui sto lavorando e che loro condividono con me. Ed è in quell’attimo in cui tutti si fermano che la conversazione si fa veramente interessante.
Sarà forse una combinazione di nostalgia e, da parte mia, di aspirazioni utopiche che ci riporta a un tempo in cui si era ancora in grado di investire tempo, amore e cura nella manualità delle cose. E certamente questo è qualcosa che si contrappone ai principi del capitalismo e alla necessità di creare profitti sempre maggiori. La tendenza del mondo è verso prodotti di basso costo e di bassa qualità. I prodotti fatti a mano sono oggi un lusso. Come muralista, voglio profondere un po’ di questo amore e tempo perduto in luoghi pubblici condivisi da persone di tutte le classi sociali e culture.

Per quanto riguarda il vandalismo, per ora sono stata molto fortunata. Non c’è nulla che possa veramente prevenirlo. Mentre sto lavorando ad un murale, chiunque potrebbe danneggiarlo e distruggerlo, questo rischio è parte del lavorare ad un’opera d’arte in strada. Me ne rendo conto e ho semplicemente deciso di correre questo rischio. Una volta che il murale è completato, viene coperto da una vernice protettiva come richiesto dai regolamenti cittadini. Ma in realtà io taggo i miei murali! Poiché che trascorro molto tempo in strada, incontro tutti coloro che la frequentano, inclusi i ragazzi che mettono i loro tag sui muri.Ad esempio il murale della ferrovia di Market Street è pieno di tag dei ragazzi che ho incontrato lì attorno. La differenza però è che sono io ad averli inclusi nell’opera: ho chiesto ai ragazzi di schizzare il loro tag nel mio sketch-book e così ho potuto includerli nella mia opera in una prospettiva che si adatta alle mie rappresentazioni urbane. Poiché nei mie panorami urbani provo sempre a mostrare le miriadi di modi con cui le persone interagiscono con gli spazi pubblici, aggiungere i tag è quasi una scelta ovvia, così come i miei poster favoriti di guerriglia, gli stencil, e tutte quelle cose che si trovano in strada e che ritengo interessanti.
Uno dei miei leitmotiv è lo spazio pubblico urbano e come viene utilizzato. Mi auguro sempre si sviluppi un modo più conviviale di co-abitare lo spazio pubblico. Riferendo nei miei murali, in modo visuale con viste urbane, tutti i tipi di sotto-culture, rendo persone diverse consce una dell’altra. E il mio essere in strada a dipingere è qualcosa che di per sè genera un po’ più di questa convivialità. Le persone possono essere sulla strada per andarsene a casa, o a far spese, oppure arrivano dal lavoro, e il murale costituisce per loro una ragione per fermarsi e guardare. E a volte, un altro vicino si ferma e guarda. Ed entrambi cominciano a commentare su ciò che stanno vedendo. D’un tratto si scambiano i nomi e si si raccontano dove abitano, e così si è creata una connessione. Vedo questo accadere tutte le volte. Ed è questo lo scopo del mio lavoro.

Franco: Le prospettive in mutamento continuo sono una delle caratteristiche che più apprezzo nelle tue opere d’arte. Aggiungono dinamismo e mi obbligano a guardare da angolazioni sempre diverse. Questa caratteristica è in qualche modo correlata alla tua visione del mondo o alla tua personalità?
Mona: Per il vero non lo so. Sono certa che nel processo della creazione artistica inevitabilmente esprimo in modo subconscio qualcosa della mia personalità, ma è un effetto collaterale, non un obiettivo. Sono un comunicatore, e voglio raccontare delle storie e promuovere delle cose.
Tu hai menzionato il mio uso di prospettive diverse. Si tratta di un modo per me di far stare tutto nell’immagine che voglio raccontare. Poiché sono libera di creare visualmente qualunque cosa io desideri, mi tengo alla lontana da angolature troppo vicine a quelle a cui siamo abituati. Ritraggo la vita che conosciamo, ma da un punto di vista a volo d’uccello, che offre un senso di distanza e ci consente dunque di riflettere sul temi più ampi. In questo modo le persone riconoscono nel murale le cose familiari, ma sono esposte a nuova prospettiva su queste stesse cose (letteralmente e figurativamente).
In questo modo, riesco a stimolare inducendo reazioni come “Accidenti! Non avevo mai notato questa cosa o questo punto a cui passo davanti tutti i giorni. Di cosa si tratta? Perché esiste? È sempre stato così?” E infine, il cruciale “Potrebbe essere diverso? Potrebbe essere migliore?”
Quando dipingo una scena naturale usando il punto di vista dell’occhio di un insetto, sto provando ad esprimere un’affermazione poetica sulla bellezza e la ricchezza che si trova in ogni amorevole osservazione ravvicinata. Prova a dare alle piante più umili un aspetto spettacolare e ricco, separando bellezza e ornatezza dal valore pecuniario. Ad esempio, posso mostrare un bellissimo fiore ma anche una foglia secca, i semi, e le parti morte,… tutto in natura ha in sé bellezza. E questo si riconnette alla mia affermazione precedente in cui mi auguravo che ciascuno abbia o trovi il tempo per vedere veramente le cose. Molte persone non hanno il tempo per andare in giro a quattro zampe estirpando un’erbaccia per guardarne la bellezza – la gente penserebbe che sono matti. Questo è uno stato di innocenza e un tipo di apertura che avevamo da piccoli e che vorrei ricordare alle persone con le mie opere.

Franco: Ogni singolo elemento nei tuoi murali è dipinto con un incredibile rispetto per la realtà, ma senza mai provare a divenire una rappresentazione fotografica. Cosa ti induce ad essere così rispettosa ad esempio delle forme di un fiore o di una pianta?
Mona: In realtà non sono sempre così accurata. Cerco di attenermi ad una certa vero-simiglianza perchè penso che non sia mai possibile migliorare la natura. Ma poiché sono una persona e non un vegetale, quando osservo una pianta, in un certo senso empatizzo con il suo gesto, e immagino cosa proverei nel mio corpo se assumessi quelle stesse forme. Vedo la tensione e il rilassamento nel modo in cui cresce, e finisco per percepirla come un gesto, una danza. Quindi dipingo la pianta come io la percepisco, e quel che ne risulta raramente è accurato dal punto di vista botanico.
Franco: Come artista, sembri immergerti nei problemi del nostro tempo senza timore nel prendere posizione, anche su temi controversi. Come vedi gli artisti che si muovono nel comfort delle gallerie d’arte o dei musei isolando così la loro arte dai problemi quotidiani?
Mona: Non assumo che gli artisti che vediamo nelle gallerie e musei non si relazionino con i problemi del mondo. Alcuni lo fanno, altri no. Ogni artista è diverso e ho personalmente visto lavori molto impegnati e interessanti presentati nell’ambito di gallerie d’arte. Forse ciò cui ti riferisci è che l’arte a volte è così astratta da sembrare inaccessibile ad un più ampio pubblico, e lo riconosco. Io mi pongo in modo diverso rispetto a questo tema in quanto all’interno della mia opera artistica visuale enfatizzo la comunicazione. Il mio obiettivo è narrativo, non estetico, e la mia narrativa visuale non è mai astrusa, ma sempre avvicinabile, comprensibile. Il muralismo è un medium populista e si adatta bene ad artisti che, come me, cercano di comunicare con un pubblico di ogni estrazione culturale e di ogni classe sociale. Io voglio coinvolgere le persone in strada, non intimidirle.
Tu dici che “non ho timore a prendere posizione”. Certamente prendo posizione, ma provo a non prendere a martellate le persone con la mia opinione e visione politica. Cerco di essere un poco più indiretta, o subdola di così. Ad esempio, rompo un poco i canoni e scombino le aspettative con dei murali politici che hanno un aspetto “pretty”, gradevole. C’è una grande tradizione nell’arte del XX secolo che dice che il medium, l’aspetto e la tecnica di un’opera d’arte devono riflettere i sentimenti e i temi di che intendi trattare. Pertanto, se i temi che hai scelto sono ad esempio la guerra e le ingiustizie e su questi temi tu sei particolarmente arrabbiato e ti senti emotivamente coinvolto, allora questa tua carica deve riflettersi nella tua tecnica, nella tua pennellata, nella tua scelta del medium. Potrebbe ad esempio essere una stampa dell’impressionismo tedesco piuttosto che un dipinto del secolo precedente. Amo questa tradizione artistica, ma non è ciò che faccio nei miei murali. Ciò che io creo sono dei cavalli di Troia con un’attraente, persino calmante primo impatto. Le mie opere sono in strada, le persone le vedono tutti i giorni. Voglio dare loro un momento di tregua, un po’ di piacere al primo impatto. Il che è per me anche un meccanismo per attirare più persone inducendole ad uno sguardo più vicino e attento, e dunque un pubblico meno auto-selezionato. Ed è in quel momento, quando le persone sono vicine e rilassate, che il resto del mio messaggio si dispiega e rivela. E il modo con cui si dispiega, mi auguro, non è con un tono altezzoso da predica, o come uno slogan. Al contrario, io i preparo con calma e in modo fattuale tutto ciò che vorrei tu osservatore considerassi, e ti rendo possibile di passare da una cosa all’altra creando confronti e costruendo connessioni tra le cose. E funziona! Le persone capiscono! Ho ascoltato le persone più umili articolare l’ironia e le riflessioni implicite in un mio murale con un’accuratezza incredibile, e fare su questo commenti profondi e incisivi.
Infine io non espongo nelle gallerie d’arte perché in realtà preferisco essere in strada, nonostante tutta la sporcizia e la pazzia che vi si trova. L’ambiente in cui un’opera d’arte si colloca influenza inevitabilmente la nostra percezione dell’opera. Pertanto, se mettiamo un qualunque opera in una galleria d’arte bianca, perfettamente ordinata, sarà destinata inevitabilmente ad apparire estremamente preziosa e rarefatta. I muri bianchi, i calici di vino, i cubetti di formaggio e le persone ben vestite e, cosa ancora più importante, il biglietto con il prezzo a fianco all’opera, influenzeranno il modo con cui l’opera viene percepita. La strada ha un effetto completamente diverso su un’opera d’arte come un murale, e io amo questo effetto e queste differenze. In un certo senso, amo il modo strano con cui un murale in strada influenza la realtà che lo circonda… quasi trasforma la vita reale in uno story-book di cui le persone divengono i protagonisti.

Franco: Che suggerimenti o indicazioni hai per un giovane artista che nasce in una piccola comunità alpina? Seguire le tue orme e trasferirsi in una città come San Francisco oppure rimanere ancorato alla realtà locale?
Mona: Veramente, non saprei che cosa consigliare a un’artista di montagna: non mi piacerebbe dirle di trasferirsi in città, sarebbe tristissimo. Ma se le consigliassi di rimanere, non avrei certo idea di che consigli dare a quel punto, oltre che al fare quel ciò ti piace come ragione in sè. Proprio non saprei, non ho mai provato a diventare artista professionale nel mio paesino Ticinese.
Franco: Qual è il valore e quali sono i pericoli della rete (Internet) per un artista oggi?
Mona: Per la rete: anche lì, ho solo dei luoghi comuni da dire: tutti sanno che un’artista può utilizzare la rete per diffondere le proprie opere e notizie, e che dunque può essere utile. E in quanto a pericoli, sappiamo tutti che i social network come Facebook o Instagram hanno dei contratti sul copyright che non sono per niente a beneficio del creatore dell’immagine, e che il prezzo da pagare usando quei canali è il rischio, un giorno, di ritrovare le proprie immagini (e/o la propria identità!) associati pubblicamente con un prodotto commerciale.
Alcuni Video
Ringrazio di cuore Mona Caron per la sua disponibilità e per aver trovato il tempo per rispondere alle mie domande. Se il testo dell’intervista non dovesse riflettere perfettamente il suo pensiero è certamente colpa della mia traduzione dall’originale in lingua inglese. Me ne scuso con Mona. A chi avesse domande per Mona Caron consiglio di lasciare un commento e mi occuperò personalmente di notificare Mona perché posti una risposta. Invito tutti a visitare il sito web di Mona per ammirare in massima risoluzione, seppure sullo schermo i suoi splendidi murali, e soprattutto invito a visitare di persona alcuni dei suoi murali. Sul sito-web potrete trovare l’esatta posizione di ciascuno. Non tutti sono a San Francisco, alcuni ad esempio si trovano nella vicina Svizzera italiana.
English version
Mona Caron, Swiss Muralist in San Francisco – English Version
Article posted on August 3, 2009 on the BAIA blog (versione italiana). I’m always fascinated by the variety and colors of murals and graffiti along the streets of San Francisco. Mostly concentrated in the Mission area, murals are popping up everywhere where there is an empty wall available. In this artistic diversity and variety, I…