L’eleganza del riccio di Muriel Barbery è un romanzo che ho apprezzato enormemente, ben scritto e che si legge con grande piacere. Terminate la lettura mi sorgono alcuni dubbi circa la vicenda. Le due donne protagoniste sono una ricca ragazzina e una signora matura che lavora come portinaia nello stesso palazzo. Le due protagoniste sono una sorta di rivoltose che rifiutano e disprezzano le convenzioni sociali del mondo borghese che le circonda. Allo stesso tempo le due sono profondamente innamorate della cultura “ufficiale” borghese, una cultura che ovviamente non è altro che espressione di quella stessa borghesia che loro stesse descrivono con disgusto.
In particolare, mi lascia perplesso la figura della portinaia, una popolana (uso questo termine senza alcuna connotazione negativa) che rinnega le proprie origini contadine sminuendo il valore e la profondità di quella cultura contadina in cui è cresciuta accreditando così lo stereotipo borghese e classista di “cultura-contadina = non-cultura”. Trovo quantomeno curioso che la stessa portinaia sia profondamente affascinata e si qualifichi come esperta di una cultura a lei distante come quella giapponese. Dalle pagine del libro pare che ci si possa impossessare di una cultura tanto complessa, profonda, ma anche distante come quella giapponese semplicemente leggendo un paio di volumi e guardando alcuni film sottotitolati. Ho dunque percepisco la figura della portinaia come una persona incapace di capire e apprezzare le proprie radici e allo stesso tempo attratta in modo che appare superficiale da una cultura tanto lontana quanto difficile per i non “nativi”.
In conclusione, un libro che si propone come critico e ironico verso la classe borghese ma che non si distanzia in alcun modo dalla cultura borghese, né propone alternative credibili per superarla.