Dentro di Sergio Bonvissuto è una raccolta di tre racconti. Il primo narra l’esperienza carceraria di un personaggio di cui si conosce pochissimo, neppure la ragione della pena. Il secondo racconto descrive una relazione intensissima tra due bambini compagni di banco che arriva ad assumere forme patologiche, con risvolti negativi nella vita dei due amichetti. Il terzo racconto è la narrazione di come il protagonista, grazie al supporto a aiuto del padre, ha imparato ad andare in bicicletta.
Il primo racconto è ben scritto, con una qualità che si mantiene abbastanza costante per tutta la durata. È piacevole da leggere. Gli altri due racconti invece non riescono mai a sollevarsi da una mediocrità e da un tono a volte irritanti. In particolare ho trovato esasperante il tentativo di trasformare ogni singolo evento in una “prima assoluta” nella vita dei protagonisti e nel descrivere ciascuno di questi eventi come un life-changing-event, quando in realtà si tratta chiaramente di comuni esperienze infantili o adolescenziali. Ho trovato inconsistente seguire tra le pagine del racconto le esperienze di un bambinetto che pensa e parla in prima persona come una persona matura e adulta, e che analizza ciò che gli accade con una saggezza che non può venire se non degli anni e delle esperienze che ancora non ha vissuto.
L’impressione è quella di trovarsi davanti a uno scrittore innegabilmente dotato di talento e potenzialmente interessante. Ma chiaramente un talento poco coltivato e scarsamente nutrito con letture ed esperienze di scrittura. In particolare questo libro rivela chiaramente la mancanza di un buon editor, una persona che sappia lavorare sull’immatura prosa di Sergio Bonvissuto spingendolo gradualmente a raffinare il proprio stile, a sfoltire le parti ridondanti, e moderare il tono eccessivamente compiacente ed enfatico di molta sua prosa.
Non è la prima volta che mi capita di leggere un libro italiano con queste pecche. Al contrario degli scrittori americani, quasi sempre costruiti a tavolino con tantissimo mestiere e poco talento, frequentemente in Italia ci si trova davanti a scrittori di innegabile talento ma sprovvisti di un adeguato bagaglio professionale. Un po’ di “mestiere” avrebbe risparmiato all’autore almeno gli errori più clamorosi e avrebbe dato a noi lettori un ottimo libro da leggere. Un buon romanzo è fatto sì di talento, ma anche di mestiere, non dimentichiamocelo.