La storia sconosciuta di Dannunzio Gabrieli, partigiano ed eroe dimenticato di Chiuro

Articolo apparso sul numero di Maggio 2024 del Giornalino della Pro Loco di Chiuro.

È la mattina del 18 aprile del 1945. Un tiepido sole primaverile si solleva lentamente da dietro il monte Cornaccia a illuminare le cime del lato ovest del lago di Cancano. Il paesaggio della vallata è interamente bianco. Tutto è ancora coperto di neve. Il disgelo primaverile è iniziato da pochi giorni. Ci vorranno ancora alcune settimane prima che la neve si sciolga e i pascoli comincino a rinverdirsi.
A quest’ora del mattino gran parte della vallata è ancora in ombra, stretta nel morso del gelo notturno. In una baita seminascosta nel bosco, un gruppetto di partigiani della Brigata Partigiana “Stelvio” si è ritrovato per decidere come pianificare la giornata. Tra loro c’è un giovanissimo partigiano di Chiuro. Si chiama Dannunzio Gabrieli. Non ha ancora compiuto 22 anni. Da alcuni mesi ha fatto una scelta di vita molto importante. Si è unito ai gruppi partigiani che sulle montagne dell’Alta Valtellina combattono contro l’esercito tedesco e le milizie fasciste. Sogna un’Italia libera, democratica e affrancata dagli invasori tedeschi. Il giovane chiurese crede profondamente in questi ideali. Ha scelto di imbracciare il fucile, mettere a rischio la sua vita e si è unito ai partigiani della Brigata Stelvio.

Dannunzio sogna un’Italia libera, democratica e affrancata dagli invasori tedeschi. Il giovane chiurese crede profondamente in questi ideali. Ha scelto di imbracciare il fucile, mettere a rischio la sua vita e si è unito ai partigiani della Brigata Stelvio.

Quella mattina i capi della brigata sono in allarme. Da Bormio sono giunte voci che una colonna di 2000 collaborazionisti francesi è partita da Tirano guidata da un carro armato per dare manforte alle truppe tedesche e fasciste che presidiano l’Alta Valtellina.

Il Rodotto Alpino Valtellinese

In questi giorni giungono continuamente in Valtellina soldati e mezzi militari che fuggono dall’avanzata delle forze alleate. Nonostante lunghi e laboriosi preparativi, il sogno fascista e tedesco di trasformare la Valtellina in una roccaforte imprendibile sta fallendo. Repubblichini e tedeschi avevano ideato il progetto del “Ridotto Alpino  Repubblicano” con l’intento di rinforzare la Valtellina costruendo fortini armati su entrambi i versanti, orbico e retico. Volevano realizzare una sorta di trappola pronta ad accogliere gli alleati qualora si fossero avventurati in Valtellina. Avevano abbattuto tutti gli alberi del fondovalle per togliere ai nemici ogni riparo o nascondiglio. Un’unica eccezione era stata fatta a Chiuro. I tre grandi platani del comando tedesco, di fronte alla chiesa di San Carlo, erano stati risparmiati. Due delle tre piante secolari sono ancora lì oggi, dopo quasi 80 anni. Per bloccare l’avanzata delle forze alleate, tedeschi e repubblichini avevano anche costruito un lungo fossato anticarro, che si può ancora oggi visitare all’altezza di Castello dell’Acqua al Piano. Secondo il progetto concordato tra fascisti e forze tedesche, le opere militari di difesa e la presenza delle grandi centrali elettriche valtellinesi avrebbero trasformato la Valtellina in una roccaforte autosufficiente e inespugnabile. In realtà, la rapida avanzata alleata e la presenza di forti gruppi partigiani stavano vanificando il piano.

Un tratto del fossato anticarro, parte del Ridotto Alpino Repubblicano, che ancora rimane a Castello dell”Acqua e che andrebbe salvaguardato e valorizzato come reperto storico.

La battaglia di Grosio

Quella mattina d’aprile del ‘45, le truppe tedesche, incalzate dalle azioni di disturbo dei partigiani, decidono di spostarsi verso l’alta valle per presidiare i passi alpini. Il passo dello Stelvio è rimasto l’unico punto di fuga verso la Germania. Infatti, grazie all’azione diplomatica combinata di americani e forze partigiane, la Svizzera ha deciso di negare il transito attraverso il suo territorio alle forze tedesche in ritirata. L’esercito svizzero si è schierato lungo tutta la frontiera alpina per assicurarsi che le truppe naziste non tentino di attraversare il territorio elvetico. Ora che la Svizzera non è più tra le opzioni sul tavolo, una lunga colonna di mezzi e soldati tedeschi inizia a muoversi verso verso l’Alta Valtellina facendo terra bruciata dietro di sé. Molti abitanti delle zone attraversate dalla autocolonna, sentendosi minacciati, si uniscono ai ribelli partigiani per difendere le loro case e il bestiame.

Quella stessa mattinata  le staffette partigiane raggiungono gli uomini della Brigata Partigiana Stelvio a Fraele. L’ordine del commando partigiano è di rimanere immobili ma di tenersi pronti ad intervenire in caso di necessità. Quando l’autocolonna tedesca giunge a Grosio, all’altezza della centrale AEM, i partigiani della Brigata Mortirolo e della Brigata dei Gufi muovono all’attacco. Gli automezzi tedeschi carichi di munizioni, immobilizzati sulla strada Provinciale, vengono mitragliati e incendiati. Presto il combattimento si allarga alle truppe fasciste francesi in arrivo da Tirano, e minaccia di protrarsi per tutta la giornata. Le forze partigiane, pur trovandosi in forte svantaggio numerico, combattono eroicamente. Dopo alcune ore di combattimento i partigiani sono stremati e necessitano di rinforzi. Immediatamente partono le richieste di aiuto dirette alla Brigata Partigiana Stelvio.

L’imboscata

Appena la notizia dei combattimenti di Grosio giunge a Cancano, una squadra di partigiani si prepara a scendere da Fraele per unirsi ai combattimenti. Tra di loro c’è anche Dannunzio. Arrivati a Premadio, il gruppo di partigiani si imbatte nei fascisti della Guardia Nazionale Repubblicana. Scoppia uno scontro a fuoco. Un proiettile nemico colpisce il giovane Dannunzio. La sua vita improvvisamente si ferma. Troppo presto per vedere il suo grande sogno realizzarsi. Ma la piccola vittoria dei fascisti non dura a lungo. I fascisti sono riusciti a uccidere il nostro giovane eroe, ma il suo sogno di un’Italia migliore è sopravvissuto. Il 25 aprile 1945, a soli sette giorni dalla sua morte, l’Italia verrà liberata dal giogo fascista e nazista e i combattimenti cesseranno definitivamente.

I fascisti sono riusciti a uccidere il nostro giovane eroe, ma il suo sogno di un’Italia migliore è sopravvissuto. Il 25 aprile 1945, a soli sette giorni dalla sua morte, l’Italia verrà liberata dal giogo fascista e nazista e i combattimenti cesseranno definitivamente.

Pochi giorni dopo la liberazione del 25 aprile il corpo del giovane eroe viene riportato a Chiuro dove vengono celebrati i funerali. I partigiani della Brigata Stelvio, compagni di battaglia di Dannunzio, seguono in silenzio la bara attraverso la piazza e le vie di Chiuro accompagnandolo al cimitero. Impugnano ancora i fucili che tante volte hanno puntato contro il nemico. Grazie anche al sacrificio del nostro giovane concittadino e di tanti altri come lui, quei fucili non dovranno più sparare. L’Italia diventerà una repubblica libera e democratica, realizzando il sogno del giovane Dannunzio. Da quel giorno, Dannunzio Gabrieli riposa nel cimitero di Chiuro. La sua tomba è ancora chiaramente visibile ed è possibile visitarla per rendergli onore.

La memoria dell’eroe

Ogni anno, in occasione del 25 aprile, dobbiamo ricordarci di Dannunzio Gabrieli, un giovane chiurese che morì per la nostra libertà.

Il paese di Chiuro sembra essersi quasi completamente dimenticato di questo giovane eroe che ha dato la vita per la nostra libertà. Il suo nome viene menzionato molto raramente e nessuno celebra il suo estremo sacrificio, neppure in occasione della Festa della Liberazione. Credo che sia giunto il momento di mettere fine a questa ingiusta amnesia collettiva. Come comunità possiamo onorare il giovane Dannunzio in tanti modi. Ad esempio potremmo intestare alla memoria di Dannunzio Gabrieli la nuova scuola elementare in costruzione. Se per qualche ragione questo non fosse possibile, potremmo intestare alla sua memoria una via importante del paese (per favore non un vicoletto). Ogni anno, in occasione del 25 aprile, dobbiamo ricordarci di questo giovane chiurese che morì per la nostra libertà.

Dannunzio Gabrieli, nome di battaglia Stalin, è sepolto nel cimitero di Chiuro.

La polemica sul nome di battaglia

Dannunzio Gabrieli si era scelto come nome di battaglia Stalin. Questo nome oggi suscita facili polemiche da parte di molte persone che hanno poca memoria storica e non sono capaci di analizzare queste vicende storiche nel periodo in cui sono avvenute. Se analizzare l’ambiente partigiano italiano del 1945, scopriamo che, nell’immaginario di questi ragazzi, Stalin era un simbolo di libertà. Rappresentava un sogno, una potente e concreta alternativa all’oppressione fascista. Ancora non erano giunte in Italia le notizie delle tante atrocità commesse dal dittatore sovietico. Il nostro eroe chiurese nulla sapeva dei gulag siberiani e delle feroci uccisioni e deportazioni perpetrate da Stalin a danno dei suoi avversari politici. Dobbiamo collocarci nel 1945 e guardare con gli occhi di Dannunzio alla scelta di Stalin come nome di battaglia, non con i nostri occhi e le conoscenze che oggi abbiamo del periodo sovietico. Dannunzio si era scelta un nome che era un potente simbolo di ribellione e di libertà. Per Dannunzio, Stalin rappresentava un sistema politico giusto, così sinceramente credeva, un nuovo sistema politico migliore e alternativo al fascismo del tempo.

Ancora non erano giunte in Italia le notizie delle atrocità commesse dal dittatore sovietico. Quando il nostro eroe, Dannunzio Gabrieli, scelse come nome di battaglia “Stalin” in Italia nulla si sapeva dei gulag siberiani e delle feroci uccisioni e deportazioni perpetrate da Stalin ai danni dei suoi avversari politici.

Credo che dobbiamo rispettare la scelta di Dannunzio e onorarla, anche se associata ad un personaggio che poi si è rivelato essere un terribile e spietato dittatore. Rispettare la sua scelta non significa dimenticare o sminuire le orribili atrocità commesse dal regime sovietico, significa invece onorare il suo desiderio e i suoi ideali di libertà per un’Italia più giusta.

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