Articolo apparso nel dicembre 2022 sul Giornalino della ProLoco di Chiuro.
Sono seduto ai tavolini del bar in piazza, a Chiuro. Dopo oltre trent’anni lontano da Chiuro, trascorsi in giro per l’Italia e il mondo, ho fatto domanda in comune per ristabilire la mia residenza qui, nel luogo dove sono nato e cresciuto.
Mi gusto il momento speciale sorseggiando uno spritz che Ivan mi ha gentilmente portato. Mi guardo intorno e osservo la bella piazza di Chiuro quasi a ristabilire quella connessione con le mie radici che si era un po’ persa nel corso degli anni. Non avevo ancora vent’anni quando lasciai il paese, prima per studio, poi per lavoro. Mi volgo verso il portale di Sansone e osservo passare un giovanotto sui vent’anni. Mi pare quasi di riconoscere questo ragazzo, ha dei tratti somatici che mi sono familiari. Scandaglio la mia memoria alla ricerca di un nome, ma non trovo nulla. Se il nome è ancora nelle mie memorie, sta dentro un vecchio neurone coperto di polvere. Anche se la ricerca tra i miei ricordi non ha trovato nulla, sono certo si tratta di un volto che conosco. Con un po’ di disappunto sorseggio un altro po’ di spritz, e mangio un’altra patatina. Improvvisamente mi si accende una lampadina. Ovviamente non conosco il giovanotto! Come potrei? Negli ultimi trent’anni io non ero qui, ero altrove. È la familiarità con i tratti somatici familiari che mi ha ingannato. Molto probabilmente il giovanotto ha ereditato la fisionomia del padre, ed era il padre che io conoscevo e che potrebbe essere un mio coetaneo! Purtroppo anche questa nuova ipotesi, se pur più plausibile, non mi aiuta. Dovrò rassegnarmi a non poter associare un nome a questa persona o a suo padre. Nel frattempo, il giovanotto si è incamminato verso le stradine del centro storico ed è scomparso alla mia vista.
Tornare in Valtellina dopo tanti anni è certamente un’esperienza interessante. Le facce dei dei miei compaesani non sono le sole cose che non riconosco. Faccio fatica a riabituarmi a un modo di vita diverso da quello che ho vissuto fino a due mesi fa. Non è una questione di velocità. San Francisco, dove ho vissuto, è una città con ritmi pacati, molto più lenta di Milano e di New York. Tutto, qui in Valtellina, passa per rapporti e relazioni personali. È difficile interagire con qualcuno che non conosci o che non sia ben noto ai tuoi conoscenti. E non fraintendetemi, non è una brutta cosa. In una grande città, in particolare in una città americana, tutto è impersonale, freddo. Nella grande America, al di fuori della ristretta cerchia di amici e parenti, tutti sono degli estranei. Si aspettano di essere trattati in modo impersonale e ti trattano in modo impersonale. I californiani aggiungono all’interazione qualche frasetta cordiale, e qualche sorriso qua e là, ma sono sorrisi di circostanza, in genere non sinceri. Qui in Valtellina, nella mia nuova residenza, i sorrisi di circostanza sembrano essere più rari. Da queste parti, le persone possono essere anche un po’ burbere, a volte appaiono fredde, ma sono sempre sincere. Quando hai bisogno di qualcuno o qualcosa la differenza tra i due mondi diventa diventa ancora più visibile. Il burbero valtellinese non ti nega mai un favore, un aiuto. Ti dà sempre una mano, senza aspettarsi nulla in cambio. Non altrettanto potrei dire dei miei ex-concittadini californiani. Loro, nel momento del bisogno si fanno abilmente da parte, sollevano improbabili scuse, e con gentilezza chiariscono che non sei una loro priorità.

Tutto questo lo si vede nelle strade di moltissime città americane, strade abitate da un popolo di disperati senzatetto. Nella sola San Francisco ci sono oltre 15 mila senzatetto. Per avere un’idea più concreta di questo numero, possiamo fare un semplice calcolo. Se la percentuale di senzatetto fosse la stessa anche a Chiuro, avremmo in paese quasi 75 senzatetto. Un numero altissimo per una piccola comunità di soli duemila abitanti come la nostra. Possiamo credere a tutti quelli che ci raccontano che i senzatetto sono dei fannulloni, ubriaconi, drogati e con seri problemi mentali. La verità è che sono il frutto di una cultura individualista dove ciascuno persegue solamente il proprio benessere e nei casi più fortunati quello dei parenti più stretti. Questi senzatetto hanno genitori, fratelli, sorelle, figli e cugini. Ma dove sono, perché non li soccorrono? In qualche modo i parenti vivono la loro vita accettando che un loro familiare sia in strada soffrendo le pene del non avere né un reddito, né una casa o un letto. Diciamocelo onestamente, chi non diventerebbe alcolizzato o drogato dopo un anno o due dormendo sotto i ponti e sentendosi escluso da ogni vita sociale? Io per primo, credo che soccomberei. Qui invece, in questo piccolo paese alpino tutti abbiamo una famiglia, dei parenti e degli amici che sono pronti ad aiutarci in caso di necessità. Pronti a darci una mano qualora ci trovassimo in uno di quei momenti di debolezza e vulnerabilità che tutti noi abbiamo sperimentato. Da rustici montanari, nel sostenerci borbotteranno, si lamenteranno, ma saranno lì al nostro fianco a soccorrerci proprio nei momenti più critici della nostra debolezza. Lo faranno perché ci conoscono da tanti anni, perché credono che quella sia la cosa giusta da fare. Non certo per un tornaconto personale.
Anche a Chiuro le cose stanno lentamente cambiando, purtroppo un po’ in peggio. Le persone tendono a trascorrere sempre più tempo nel comfort della propria casa limitando le interazioni sociali e con la comunità del paese. Grazie anche al COVID, sempre meno persone frequentano il centro, e non danno il dovuto valore all’essere membri attivi di una piccola comunità come la nostra. Io invece ho da poco riscoperto il piacere di passeggiare per il paese. Incontrare in modo del tutto casuale persone che non vedevo da tempo, o che appena conoscevo e a malapena ricordo. Apprezzo avere conversazioni che non erano pianificate nel mio calendario di lavoro e dalle quali non mi aspetto altro che un po’ di umanità e quel senso di appartenenza ad una comunità che tanto mi è mancata in questi anni.

Grandioso davvero!