Il volume La lettera di Gertrud di Björn Larsson è stato pubblicato meno di un mese fa dalla casa editrice Iperborea. Il libro si presenta in un avvincente formato stretto e alto che si presta molto bene alla lettura.
In questa breve recensione vi risparmio il riassunto del libro che trovate ovunque. Passo subito alle mie personali impressioni e opinioni.
Dunque, ho trovato il libro estremamente interessante in quanto affronta un tema spinoso con coraggio e onestà intellettuale a rischio di irritare persone su entrambi i lati della barricata, come infatti accade al personaggio del libro.
Trovo molto interessante anche la struttura di questo volume che a circa due terzi dall’inizio abbandona la terza persona (narratore) per passare alla prima persona (scrittore). Un cambiamento che rompe gli schemi ma che contribuisce a rafforzare l’impressione di veridicità del romanzo trasformandolo in una sorta di biografia. Numerose pagine sono dedicate ad analizzare la letteratura dei temi trattati fornendo numerosissimi spunti per chi volesse approfondire i temi della cultura ebraica e della genetica.
Ho trovato difficile accettare come plausibili alcuni fatti descritti nel libro. In particolare la riluttanza del protagonista a condividere con l’amata moglie la recente e in parte traumatica scoperta di essere il discendente di una famiglia ebrea vittima delle persecuzioni naziste. Non conosco l’aria che tira di questi tempi nei paesi scandinavi, ma io non avrei avuto nessun problema a condividere tale scoperta, se fosse capitato, con mia moglie e a rendere la cosa pubblica. Mi sfugge completamente questo blocco e questi timori, quasi il protagonista viva nella Germania nazista del 1940. Anche il livello di antisemitismo che si respira nella città in cui è ambientato il romanzo risulta a mio parere poco credibile. Nel mondo che frequento, non ho mai percepito nulla di simile. Forse vivo in un’isola felice. So di non essere ebreo e quindi di non essere “fully-qualified” per fare certe affermazioni, ma l’atmosfere descritta nel romanzo, così oppressiva e piena di costanti paure, mi pare un po’ troppo spinta. L’unica spiegazione plausibile che ho trovato è che questa sia la triste realtà dei paesi scandinavi. Se così fosse ne sarei profondamente stupito, ma quella è una realtà che non conosco.
Nonostante la ricchezza di riferimenti bibliografici e lunghe disquisizioni su razza e genetica il libro si legge d’un fiato e ne raccomando sinceramente la lettura.
Qui in Italia solo se scopri che sei nero è meglio che lo tieni per te, infatti.